lunedì 31 dicembre 2007

Follie violente


Travolgente come proiettili, di quelli che squartano un corpo come fosse burro, maledetto come i personaggi che lo abitano e crudele come solo il bene più sfrenato può esserlo, spietato alla Tarantino e dinamico alla Guy Ritchie. Questo è Smokin' Aces, film snobbato per pigrizia e visto per caso, pieno di attori famosi (Ray Liotta, Andy Garcia, Ben Affleck) e meno famosi (Ryan Reynolds, Jason Bateman, Jeremy Piven), compatto e solido come cemento, si presenta agli occhi di chi guarda senza paura di sembrare estremo, puntando il dito proprio al cervello e tirando in ballo il cuore nel finale, breve e coraggioso, che vede tutti perdere e nessuno vincere; forse.

Ricco di parti per tutti i gusti, dalla nazi follia al killer trasformista, dal dovere di chi protegge alla stranezza di chi vive isolato e abbandonato, dal lucido direttore delle operazioni al dolore di chi perde tutto, da chi è in cima al mondo e si ritrova praticamente nel nulla. Questa è una corsa a chi arriva primo nel compiere la propria azione, per cosa? Per un maledettissimo e dannatissimo modo di acquisire informazioni che determinerà l'autostrada di morti che ci viene regalata, alimenterà la tensione per stabilire un vincitore, e stuzzicherà la voglia di capire perché tutto questo è dovuto succedere. Alla fine ognuno di noi trarrà le proprie conclusioni per capire da che parte sta il bene. Voto: 7 ½

Leoni per Agnelli


3 storie apparentemente separate e brevi ci offrono uno sguardo spassionato sulle insidie di politica e guerra. Spassionato perché la scelta di capire se il male sia intrinsecamente legato a questi mondi viene raccolta nello sviluppo degli eventi e mostrata ai nostri occhi da Redford, senza intento di far pendere l'ago della bilancia da una parte piuttosto che da un’altra. Quello che mi sembra chiaro, però, è che nessuna azione può essere slegata dal tutto anche quando crediamo il contrario. Il confronto tra la giornalista interpretata da Meryl Streep e il giovane Senatore Jasper Irving (un convincente Tom Cruise) ci mostra un tavolo dove il gioco è basato su strategie verbali e mosse politiche per convincere il popolo della necessità di certe scelte, sottili ed efficaci, proprio mentre sul campo viene giocata la vera partita, cruda e senza mezze misure, figlia di quelle decisioni prese con un accattivante sorriso. La consapevolezza della giornalista offre spunti da tenere in considerazione, così come la domanda che nasce tra i due giovani seduti sul divano nella scena finale. Voto: 6 ½

mercoledì 12 dicembre 2007

Librando




Schegge di libri feriscono il petto con delicata grazia.

  Pensieri d'umanità affamati scuotono dell'albero le radici.

                                                   Sollevato dal vento i miei occhi ho incontrato.

Insomma... mi piace leggere con anima e mente tra percorsi ad ostacoli.

domenica 25 novembre 2007

Una stanza per ricominciare



Mike Enslin (interpretato dal sempre ottimo John Cusack) è uno scrittore che si diverte a smascherare le cosiddette presenze soprannaturali. Si presenta nelle località dove la leggenda vede qualche fantasma, spirito o entità di qualsiasi natura, e sistematicamente ne sviscera l’inconsistenza. Questo è quello che fa per campare, una sorta di gioco col destino a chi dice l’ultima parola.
Un’anonima cartolina con un messaggio a proposito di un numero di stanza d’albergo, la 1408 (che, per inciso, fa 13), gli stuzzica la curiosità e decide di provare anche questo passatempo nonostante l’incontro con il direttore (Samuel L.Jackson) sia teso a scoraggiarne l’esperimento.
Ha inizio l’incubo concentrato in una semplice ora scandita da sessanta interminabili minuti.

Seppur il rivelatore incontro tra direttore e scrittore, - qui un plauso ai doppiatori che rendono bene il carisma del primo contrapposto al cinismo del secondo -, faccia presagire pathos tra le parti, il film è incentrato interamente sul protagonista, aiutato dal senso claustrofobico dei muri di una stanza d’albergo; sempre che di muri si possa parlare.
Lo scetticismo di Mike viene minato da una serie di piccole irrealtà che cominciano a far slittare le sue certezze verso un livello al quale non è abituato. La stanza si impossessa sempre più della sua vita, svuotandolo di se stesso e riempiendolo di se stessa, e ne ribalta le prospettive.
Ci si trova di fronte ad un uomo smarrito in lotta con i suoi dolori e le sue paure nascoste in fondo all’animo, mai domate e con le quali dover trovar un modo per convivere, rappresentate dalle allucinazioni che lo violentano fino alla fine; una fine indissolubilmente legata al suo passato.
Le tematiche predominanti di Stephen King, dal quale è tratto il soggetto, ci vengono mostrate in tutte le loro sfaccettature; la loro rappresentazione è, appunto, una rappresentazione per chi non fosse in grado di coglierne l’essenza.
Il finale ci restituisce l’incubo trasformato in sogno, anche se il mini-registratore la pensa diversamente.      Voto: 6½


domenica 18 novembre 2007

Dell’Eroe e delle sue battaglie



Prima impressione: Ma che razza di film sto guardando? Questi sembrano attori, ma non lo sono, e allora perché non ci hanno messi quelli veri?!
Bene... date sfogo alla prima impressione (probabilmente durerà per la prima mezz'ora), lasciatela sbollire, e infine uccidetela. Accadrà in modo naturale, senza traumi, alle prime tracce delle tematiche fantastiche; sempre che questo tipo di storie sia nelle vostre corde: per tutti gli altri, consiglio di astenersi piuttosto che vantarsi di dire: "Io l'ho visto e mi fa schifo", anche se comprendo che rinunciare a questo vezzo sia una difficile prova per alcuni.
Il film è girato con la tecnica del performance capture (supportata dalla tecnologia Digitale 3D (Attiva): un solo proiettore digitale che alterna le immagini per l'occhio destro e per l'occhio sinistro così rapidamente, 144 volte al secondo, che il cervello umano non ne percepisce la successione) già vista, sempre dallo stesso regista
R.Zemeckis, in Polar Express.
Gli attori ci sono, ma non si vedono: vengono applicati una miriade di sensori a volti e corpi degli interpreti, attraverso delle tutine aderenti in licra, così che le performance attoriali possano essere "catturate" e inserite in un computer. E da qui lavorate per una nuova forma espressiva, con la sensazione di un prodotto d'animazione ma con protagonisti umani. Si avrà modo di apprezzare pienamente questa mirabile tecnica, non me ne vogliano le donne, nella scena di nudo integrale della bella Angelina Jolie.

Tralasciando la tecnica, affascinante per molti e fastidiosa per molti altri, dedichiamoci alla trama. Non è facile riassumere questo Beowulf, non tanto per gli eventi, ma perché ispirato da uno dei poemi epici più antichi fra quelli sopravvissuti in lingua inglese arcaica, generalmente datato intorno all'anno 1000. Rif. Wikipedia: "Si trattava quasi certamente di un'opera tramandata oralmente (lo testimonierebbero anche alcuni elementi strutturali dell'opera, come la presenza di una sorta di "riassunto degli avvenimenti precedenti" ad aprire alcune sezioni chiave, a intervalli regolari). È anche generalmente accettata l'idea che l'opera originale fosse composta da un poeta pagano; i riferimenti al cristianesimo presenti nel poema appaiono in effetti (in alcuni versi in modo chiarissimo) rimaneggiamenti posteriori, forse introdotti dagli stessi copisti.".
Questo solo per chiarire che siamo di fronte, sì, ad un prodotto commerciale, ma che ha radici così profonde che non basta l'eventuale cattivo risultato su schermo per annullarne la forza e le peculiarità che lo contraddistinguono come iniziatore di quel mondo fantastico che continua fino ai nostri giorni e alimenta le fantasie di molti. Se siete interessati vi consiglio di documentarvi perché è spunto di grosse soddisfazioni: si basti pensare che Beowulf è il primo esempio epico completamente basato sulla battaglia fra l'eroe e il mostro, antenato di tutti gli eroi successivi, da Conan a Superman, fino all'Incredibile Hulk.

L'eroe,  di una tribù germanica della Svezia, c'è e lo si nota appena compare, anche se il suo essere eroe è sfacciato, incaricato dal Re danese Hrothgar (Anthony Hopkins) di combattere il Grendel, una creatura gigantesca e sanguinaria che sta mietendo vittime nella reggia. Beowulf accetta l'incarico e nel combattimento riesce a staccare un braccio alla bestia che, a causa di ciò, scappa per morire tra le braccia della madre, una sensuale Jolie che chiede in cambio un patto al nostro protagonista, che accetterà unicamente per la gloria dichiarando alla sua gente il falso.
Hrothgar dichiara Beowulf suo successore e inspiegabilmente si uccide. Le ragioni del gesto ci verranno mostrate nel corso dei successivi eventi mettendo il nuovo Re di fronte ad una battaglia più dura delle altre. La ruota continua a girare e nel frattempo il Re è maturato.

A questo punto, temo il mio giudizio sia alterato dal mondo che ruota intorno al semplice film per riuscire a darne uno obiettivo. Siamo di fronte all'evocazione del passato attraverso forze tecnologiche tendenti al videogioco. A me è piaciuto, questo è quanto.
Mi sarebbe comunque piaciuto vederne una versione classica (stavo dicendo reale, ma gli attori lo sono, eccome) e vederne l'effetto finale, maestoso sicuramente. Voto: 7.

venerdì 9 novembre 2007

Like a Rolling Stone


The Bourne ultimatum

Adrenalinico.
Questo è il senso che si prova assistendo alle vicende di Jason Bourne nell’ultimo film con
Matt Damon
. Dall’inizio alla fine si viene proiettati in una vorticosa serie di eventi che inchiodano l’osservatore e non gli danno tregua. I tasselli cominciano ad incastrarsi e la verità si muove sinuosa cambiando pelle fino all’epilogo, drammatico nel suo sviluppo, che ridarà al nostro protagonista la vita che negli episodi precedenti gli era stata sottratta.
Damon è bravo, in grado di dare credibilità ad un personaggio che nelle mani di altri attori avrebbe potuto diventare una sorta di schiacciasassi solo muscoli. Le poche espressioni che ci regala sono dovute certamente alla trama esplosiva e senza tregua più che alle sue indiscusse capacità: una pietra rotolante granitica, con stile. Punta all’obiettivo e scavalca ogni ostacolo pur di arrivarci dimostrando di essere un vero professionista nel suo mestiere.
Questo aiuta anche a far perdonare qualche eccesso regalato alle scene di inseguimenti tra auto, a volte imbarazzanti, ma che contribuiscono a stupire.
Nonostante l’indiscusso leader sia Bourne, risulta essere un film corale che mette
in bella mostra anche gli altri comprimari. Basta con le parole, sediamoci e lasciamoci travolgere.

Si conclude con questo episodio la saga ispirata dalla trilogia di romanzi di Robert Ludlum che lessi parecchi anni fa. Ne ho un ricordo forte e restano ancora scolpite nella mia immaginazione molte scene e molti intrecci spettacolari. Questi ultimi in grado di far riflettere su come i servizi segreti abbiano il potere di decidere il destino di molti, se non di tutti.
Un sentimento che si presenta più vivo dedicandosi alla lettura delle pagine scritte piuttosto che alla visione dei film: esigenze di mercato? Voto: 7 ½.


mercoledì 31 ottobre 2007

Dannatamente evocativo



In questa poesia... non una parola è di troppo.

domenica 28 ottobre 2007

Solo contro tutti...


Quel treno per Yuma

I western non mi hanno mai incantato e per questa ragione le mie aspettative sul film erano basse. Aggiungendoci, inoltre, che è un remake di un film del 1957 con Glenn Ford e che non ho visto, la mia indifferenza la faceva da padrona.
La trama, anche quella, è abbastanza banale: il fuorilegge di turno Ben Wade, qui interpretato da un carismatico Russell Crowe, viene acciuffato e deve essere scortato verso una destinazione che lo porterà nelle fredde braccia della giustizia. Uno dei personaggi che avrà questo compito è Dan Evans, interpretato da un Christian Bale ombroso e smagrito (seppur inavvicinabile alla cadaverica prestazione de ‘L’uomo senza sonno’), umile contadino che si presta al ruolo di carceriere per tentare di guadagnare denaro per mantenere la famiglia oramai al limite della sopportazione. Durante il viaggio ci saranno situazioni da affrontare perché gli amici fuorilegge tenteranno di salvare il loro capo, ovviamente.

Fin dalle prime scene mi girava attorno un senso di piacere in quel che vedevo da farmi dubitare che stessi vedendo un western; certo, costumi e ambientazione mi dicevano quello, ma andando oltre emerge un film costruito sul legame dei due protagonisti che se ne infischia dei contorni e focalizza l’attenzione sul cambiamento di prospettive che si verificano nel corso del viaggio. La rettitudine morale di Dan tende a schierare le simpatie dello spettatore verso di lui, ma quando il gioco si fa duro e anche Ben dimostra di avere una personalità che gli permette di capire quando se ne ha di fronte un’altra e dimostrare di essere onesto a sua volta, senza cadere in banalizzazioni, allora si accusa il colpo e ci si lascia guidare fino alla meta. Una meta nettamente meno importante del viaggio in se stesso, ricco di stravolgimenti emotivi e lastricato di situazioni nelle quali mettere alla prova la determinazione dello scopo ultimo.
Fino in fondo, il nostro Dan, ci crederà e resterà l’unico, solo contro tutti. L’unico in grado di trasformare il cuore di Ben, dando vita ad una forma di rispetto che finirà per cambiarlo, irrimediabilmente. In questo, il finale ha la sua vera ragion d’essere.
Insomma, un western che mi è piaciuto. Voto: 7.


mercoledì 24 ottobre 2007

E allora?



E allora... e allora ho poca voglia di scrivere; pochi stimoli anche se, ultimamente, qualcosa è successo che avrebbe il potere di alimentare le parole.
Aspetto il vento...


sabato 6 ottobre 2007

Musica e follia


Reign over me

Quasi controvoglia ho optato per questo film; il titolo non mi diceva molto se non un rimando ad un brano intensamente evocativo degli Who.
Pensando di annoiarmi ho iniziato a vedere questa pellicola senza troppe pretese. Il film si muove lentamente attorno ai protagonisti principali Alan e Charlie, interpretati rispettivamente da Don Cheadle e Adam Sandler (appena visto in Io vi dichiaro marito e... marito, commedia non troppo brillante) e lascia intravedere un senso di dramma. E, infatti, tale è la situazione in cui vive inconsciamente Charlie, oramai isolato dalla vita da cause che impareremo a conoscere attraverso Alan. Incontratisi per caso dopo molti anni, i due cominciano a frequentarsi; sarebbe meglio dire che Alan intuisce le difficoltà di un vecchio amico al quale decide di stare accanto e anche, forse, per staccarsi da una vita matrimoniale un po’ stretta.
Circolando per le strade di Manhattan – accompagnati da un simpatico monopattino a motore - verremo immersi in quello che risulta essere una perdita di attaccamento alla realtà in seguito all’evento americano più devastante degli ultimi anni: l’11 settembre, la cui ombra continua a distorcere ricordi e affetti negli occhi di Charlie che, per dimenticare la moglie e le tre figlie strappatigli via in quel funesto giorno, si abbandona ad un mondo fatto di musica e videogiochi, lontano da tutti, ricco di una ricchezza improvvisa a compensazione delle morti subite.
Assistiamo ad un sentimento di incondizionato affetto nei confronti di un altro essere umano, svuotato da ogni forma di egoismo e pregiudizio, ma ricco di sfumature sulle quali riflettere.
Ci si scordi l’azione, la suspense, gli effetti speciali o altre diavolerie e si osservino unicamente gli aspetti della vita che possono investire chiunque di noi, piangendo il dolore e abbracciando l’amicizia, pensando all’amore come sentimento da esaltare in tutte le sue forme e dimensioni.
Una altro merito del film, per quanto mi riguarda, è aver inserito la musica come colonna portante di tutti i momenti; una musica non presente in quanto suonata, ma come concetto, in grado di isolare e di unire allo stesso tempo, di risvegliare ricordi che mi hanno riportato a vent’anni fa, quando mi infiammavo per Springsteen. Pochi accenni e alcuni secondi di un album storico come The River hanno immalinconito questo mio cuore rock.
Invito ad ascoltare anche il brano finale che da il titolo al film: un tributo particolare suonato dai Pearl Jam con grande personalità, merito soprattutto della bellezza dell’originale.
Voto: 6 ½


venerdì 5 ottobre 2007

L’ultima Legione... purtroppo.



Ero curioso di vedere la versione cinematografica del romanzo di Manfredi. Un'aspettativa nata dalla lettura del medesimo, con divertita partecipazione e sano interesse.
In breve: Anno Domini 476. L'ultimo imperatore romano, il tredicenne Romolo Augustolo accompagnato dal suo mentore Ambrosino, viene rapito dai barbari e confinato a Capri. Siamo alla fine del glorioso Impero Romano, ma a farcene sentire ancora la forza e la potenza ci penserà un manipolo di legionari che, aiutati dall'eccezionale guerriera Livia Prisca e guidati dal comandante Aurelio, tenterà di liberare il piccolo Cesare a rischio della propria incolumità mettendo alla prova le proprie capacità.

Ora, la primissima impressione delle primissime scene è che la produzione non abbia puntato tutte le risorse sull'atmosfera che può evocare un film storico, tenendo presente che si parla dell'Impero Romano; sembra di assistere ad un film di serie B con tutta l'artificiosità del genere senza il tocco originale di un Quentin di turno. Mi lascia perplesso, ma, dopotutto, ricordo che nel romanzo l'azione era lasciata più alla fisicità degli eventi che alla geografia dei luoghi. Col prosieguo della storia mi si consolida il pensiero di mancanza di personalità e continuo la visione senza partecipazione alle vicende che si susseguono (tenendo presente che ho letto il libro e con ancora in mente lo sviluppo della trama); il ruolo del solido comandante è affidato a Colin Firth, che per quanto io abbia apprezzato in altri film, proprio non ce l'ha la faccia del fiero combattente; e neanche il carisma, o almeno non l'ha ancora dimostrato. Questa considerazione mi pesa per tutto il film e, probabilmente, è da qui che nasce la sensazione di poco impegno da parte di chi puntava sul buon esito del film. E ci aggiungo la prova abbastanza scialba di un veterano del cinema come Ben kingsley e l'inespressività del giovane Cesare.
La regia mi è sembrata fredda e senza coinvolgimento per l'intera vicenda narrata, estranea.
Ogni tanto si respira un tocco di fantastico che si lascia osservare con gli occhi dell'immaginazione e che non mancherà di stuzzicare le fantasie di chi saprà coglierne i riferimenti. Il finale, comunque, si riserva il merito di instillarne l'interesse. Voto: 5


giovedì 27 settembre 2007

Finestre e Spiragli



Un’altra finestra si chiude alle spalle, vacanze terminate. Tre settimane trascorse beatamente oziando a Minorca ospitato da mio fratello e famiglia. Il tempo ha attraversato tutti i suoi umori, regalando gialli sorrisi carichi di amore e grigie nuvole seminatrici di pioggia; un ventaglio di colori che ha donato la possibilità di abbronzarsi in spiaggia, passeggiare per Ciutadella, tra le grotte di Cala Morell e, persino, andare a cavallo al limitar del mare.

Uno scorcio di tempo che restituisce - instancabilmente - la voce della Natura, il respiro delle stelle e un senso di appartenenza a tutto ciò da farmi dimenticare di essere solamente uomo, ma parte integrante dell'intero meccanismo; la serenità di questi momenti è un toccasana per la mente e si ribella alle continue e noiose pressioni di Milano, città in grado di offrire tutto chiedendo in cambio solo una misera cosa: se stessi.

Non ci sto più a questo gioco metropolitano di sottrazione di emozioni, colori, respiri e percezioni che fiacca inesorabilmente lo spirito portandolo a seguire una corrente non stabilita da me; in questo mi sento salmone - e sempre mi ci sentirò - quando ad essere intaccate sono le idee e la propria soggettività di individuo.
Questo ultimo anno è stato molto proficuo in tal senso e ha rafforzato le mie convinzioni, dandomi modo di scegliere, nel mio piccolo, percorsi poco battuti (non per questo meno emozionanti) e impervi agli occhi dei più, offrendomi frutti dimenticati, ma sempre succosi... estremamente succosi, in attesa di essere colti.

Così, per una finestra che si chiude, c'è uno spiraglio che si apre di fronte al mio sentire, nella viva speranza di spalancarlo verso il vivere, tutto.

giovedì 6 settembre 2007

Cuore grigio



Creature grigio-scure e imponenti ci iniziamo alla loro verità: sono gli uomini drago che portano violenza e distruzione in un’epoca che si svolge 600 anni prima di Colombo. Quello che segue è leggenda. Un bianco silenzio di neve accompagna una donna indiana fino alla scoperta di uno spaventato bambino bianco, fragile e minuto, che si nasconde tra cadaveri e rocce. Preso con sé e portato al villaggio verrà cresciuto come parte integrante della tribù. Fantasma, così soprannominato, oramai adulto assiste allo sterminio della sua nuova gente ad opera di imponenti e crudeli guerrieri, gli stessi che l’hanno abbandonato da piccolo, Vichinghi. L’unica cosa che gli rimane da fare è fuggire. Comincia la caccia all’uomo. E comincia anche la vendetta che porterà altra morte e altro sangue tingendo di rosso le innevate cime. Tra agguati e combattimenti si susseguono gli eventi fino alla cattura del protagonista che sarà costretto a guidare i barbari, in cerca di razzie, verso passi rocciosi e montagne in cerca di popoli da sterminare.
Lento e senza brio il film non conquista. Freddo come i colori grigio cenere che lo animano non trova contatto con chi guarda; difficile immedesimarsi e provare pietà per le vicende nonostante le atrocità siano molte. Unico punto di apprezzamento sono i rudi Vichinghi rappresentati in tutta la loro ferocia dalle spade e armature puntute e cazzute. E’ un piacere guardarli distruggere tutto senza neanche vederli in volto, coperti da elmi cornuti e a cavallo di stalloni potenti. Voto 5


Papà Orco


Shrek terzo (2007)

Ritorna sul grande schermo il simpatico Orco che ha fatto divertire milioni di bambini, e non solo; ad accompagnarlo il fidatissimo Ciuchino e Gatto con gli stivali, compagni di sventura. Si parte in quarta cominciando dalle sfortune del principe Azzurro caduto in disgrazia, alle regalità di palazzo dove Sir Shrek e la Principessa Fiona fanno il loro ingresso in un susseguirsi di eventi catastrofici, che non faticheranno a strappare risate ai più piccoli e nemmeno ai più grandi.

La storia vera comincia con la divertente dipartita di Re Harold, che in punto di morte consegna la successione al trono nelle mani di Shrek; sentendosi inadeguato al ruolo, l’Orco parte alla ricerca di Arthur, colui che potrà degnamente rimpiazzarlo. La fresca notizia che presto diventerà padre non lo trattiene affatto dalla missione, facendogli vivere qualche sogno non propriamente piacevole. Attraverso un susseguirsi di eventi Shrek avrà a che fare con situazioni che lo metteranno in contatto con altri personaggi classici delle favole più conosciute (buoni e cattivi, da uno strampalato Merlino ad un truce(?) Capitan Uncino) fino al suo rientro, accompagnato dallo sfigato Arthur, dove ad attenderlo ci sarà uno stravolgimento del regno di molto, molto lontano. Ora le cose sono cambiate e il potere è detenuto da una vecchia conoscenza (e compari) che farà di tutto per avere la meglio sul malcapitato faccione verde, tra scorribande e atti criminali. Un faccione, quello proiettato davanti ai nostri occhi, impreziosito da uno sguardo sornione ma acuto, pacato ma attento e che, grazie all’evoluzione tecnologica dell’animazione, acquista sempre più fattezze ed espressioni umane. Un personaggio in grado di contare sulle proprie forze e che rivolge l’oltraggioso ghigno verso ideali di lealtà, amicizia e fratellanza, nascosti sotto movenze non proprio delicate, ma cariche di simpatia. Si fatica a credere sia solo un cartone animato.

Shrek e Fiona sono, in questo terzo episodio, meno protagonisti del solito e i personaggi minori (ma non troppo) si contendono la scena a gomitate, riuscendo a far emergere personalità ricche di umorismo che nulla sottraggono alla regale coppia, anzi. Papà Shrek chiude il film felice e contento in compagnia dei suoi agitati marmocchi, con il regno affidato alla cura di buone mani. In conclusione, un film da vedere allegramente con figli, nipoti, fratelli o amici, per ridere assieme e spensieratamente di un’avventura che riesce a conquistare. Voto: 7.


Liberamente Gabbiano



Potrei scrivere un commento fatto di più parole rispetto a quante ce ne sono nel libro, che risulta essere brevissimo. Ma l'intensità e il senso di libertà che è in grado di evocare raggiungono vette altissime che possono essere scalate solo da chi ha la capacità di volare, appunto, come Jonathan. Va riletto una volta ogni tanto per restituirci un po' di benessere.

Con la merda in bocca


Fast Food Nation (2007)

La pellicola apre le porte allo spettatore mostrando l'interno del Tempio culinario americano, un Fast Food: lo slow motion tra giovani sorridenti e famiglie felici, che fanno tanto USA, sfuma presto verso la notte messicana vestita d'inquietudine dipinta sui volti del gruppo di persone che ci troviamo di fronte. Uomini e donne che lasciano il proprio paese per andare alla scoperta di nuove opportunità che non c'è dato di conoscere, ma che forse intuiamo essere ricerca di felicità(?). Eppure queste due realtà, lontane in apparenza, sono profondamente legate tra loro come luce e buio. Due estremità dello stesso mostro: la parte in alto che gestisce vite umane, che arricchisce impoverendo nell'anima, e la parte in basso, povera e disperata, che produce per necessità e destinata ad essere mangiata (situazione resa dal sacrificio di una delle protagoniste che deve trovare lavoro). Partendo da un caso di carne contaminata e della ricerca delle cause, quelle raccontate sono semplici storie di vita quotidiana affrontate senza false lacrime e con l'intento di svelare il sottile filo conduttore che le unisce. Nel mezzo, lavoratori sfruttati e in penose condizioni di sicurezza tra tute bianche e sangue di bestie macellate, a rischiare la vita per riuscire a produrre più in fretta. Girando attorno alla produzione di Hamburger per il florido mercato dei Fast Food, assistiamo alla messa in scena di stralci di vissuto, riguardanti lo stesso mondo: Il mio titolo, non a caso, è illuminante in questo senso. Da plauso la scena al ristorante che vede seduti di fronte il protagonista Don Henderson, interpretato dal sempre bravo Greg Kinnear, e Bruce Willis in un cameo che lo vede vestire i panni di un amico intento a dire la sua su quello che ha causato la contaminazione della carne; risulta talmente convincente da lasciarsi quasi trascinare ad abbracciare la sua verità che, per quanto parte di un meccanismo presente nella vita di tutti i giorni, rappresenta la vera radice da sradicare. In questi casi, guai dare ascolto al carisma altrui, ma ragionare sempre e solo con la propria testa, dando per assodato di possederne una, s'intende.

Il film - a mio avviso - polemico, si risparmia l'intento di dare insegnamenti in proposito lasciando allo spettatore il compito di osservare bene ogni meccanismo presente e farsi un quadro tutto proprio. Emblematico il fermo immagine finale che sintetizza, in un semplice frammento, e chiude il cerchio aperto all'inizio. Verso la fine è presente una scena cruda, nel mattatoio: non per tutti. Voto: 6 ½.

Morire in diretta


Vacancy - "In certi motel nessuno sopravvive più di una notte" -. (2007)

E' capitato, durante la settimana centrale d'Agosto, di vedere questo film. Un thriller interpretato dal simpatico Luke Wilson e dalla bella Kate Beckinsale, impegnati a vestire i panni di una coppia vicina alla crisi affettiva. I due, in viaggio, costretti a fermarsi per un guasto all'auto, raggiungono - a piedi - l'unico motel della zona. L'accoglienza non è delle migliori: urla strazianti dal locale dietro la reception accolgono i due giovani, rassicurati dal (inquietante) proprietario che ha un telecomando in mano; la televisione tira brutti scherzi! Benchè titubanti, decidono di fermarsi per la notte e da quel momento vivranno situazioni da non consigliare a nessuno, dove la paura o il senso del terrore la faranno da padrone. Già, quello che i nostri (inconsapevolmente) stanno per vivere è l'appuntamento con il puro divertimento orchestrato da qualcuno che prova piacere a filmare le proprie vittime mentre l'atto criminale si compie. Snuff-movie in azione e non occasionale, come sarà dimostrato dalle decine (centinaia?) di videocassette custodite proprio in quel locale dietro la reception che aveva spalancato le porte a quest'avventura filmata per il piacere di spettatori anonimi. Tutto si svolge prevalentemente all'interno della camera presa in affitto, dove le prime avvisaglie di quello che sta per succedere sono date da un insistente e ossessivo bussare dalla camera di fianco e dalla televisione accesa per passare il tempo(?); le immagini riproposte sono quelle dell'ultima videocassetta inserita (da chi?) che contiene scene di violenza estrema. Ma qualcosa non torna! Le pareti, i letti, i colori, il mobilio, sono esattamente identici a quelli della camera in cui si trovano i due sfortunati clienti. Coincidenza? Non la pensano così le figure mascherate che si aggirano intorno al motel. Da qui in poi saranno incubo e spirito di sopravvivenza a far proseguire il film, che per rispetto di chi lo vedrà non commento. Una cosa mi sento di dire, però: la follia di quello che accade è data dalla perversa malvagità di chi ricava gioia dall'osservare - in diretta - la sofferenza altrui. Quella stessa sofferenza che noi amiamo vedere in film come questi da parte dei protagonisti. Inquietante!

L'argomento trattato non è propriamente di quelli che preferisco; la mia curiosità era concentrata più sul protagonista, qui alle prese con un ruolo serio, che sulla storia in se stessa ricca in abbondanza di stereotipi cari all'immaginario del brivido: la notte, il luogo desolato, nessun aiuto in cui sperare, figure d'ombra che si aggirano e chi più ne ha più ne metta. Tutto sommato il buon Luke lo preferisco nei ruoli da commedia - anche se non arriverà mai alle punte di irriverente comicità del fratello Owen (stesso DNA, diverso talento) -, ma gli auguro di proseguire se si sente ispirato. Non pongo mai limiti alla creatività di un'artista, a patto che esprima arte e non banalità. Insomma, la pellicola è un intrattenimento per chi non pretende nulla d'originale o minimamente diverso dal già conosciuto, ma per chi vuole trascorrere, strettamente abbracciato al cuscino, qualche momento di terribile piacere(?). Voto: 6-.


Un primo piccolo salto

Come ogni giorno cerco di salvare il mondo. E come ogni giorno, non ci riesco. Chiaro, non tutti i super eroi ce la fanno e visto che qualcosa devo pur fare, scrivo! (meglio dire che faccio finta, ma illudiamoci)
Di qualcosa e di niente, senza senso o forse no, ma scrivo. E' un modo eccellente per ritrovare serenità, concentrazione e piacere e che consiglio vivamente alle persone che hanno energie da buttar via. Meno cazzeggio e più sostanza!
Mai avrei pensato di inserire le mie parole in un blog; tutto è nato splendidamente per caso quando ho cambiato sede di lavoro e l'ispirazione ha avuto una fase di sedimentazione nel corso di quest'ultimo anno vissuto pericolosamente schivando mezzi pubblici. Sono sempre stato un sostenitore di: "Da qualche parte una farfalla batte le ali e mette in moto un meccanismo irreversibile dalle conseguenze imprevedibili" e mai come questa volta frase fu più azzeccata.
Non mi è mai piaciuto stare sul tram o in metropolitana con le mani in mano (mi deprime) e così, oltre al lettore mp3 per l'irrinunciabile musica (guai senza), ho messo in saccoccia anche un libro. Erano anni - molti anni - che non leggevo un romanzo, con cuore. Mea culpa! Credo fosse uno di Valerio Manfredi - L'Impero dei draghi -, il primo che leggevo di quest'autore, e tra un'andata e un ritorno, una salita e una discesa, col sole o con la pioggia, le pagine cominciavano a prendere forma nel mio immaginario. Sapete come succede, no? Chiudi il libro, ti dedichi ad altro e intanto una vocina t'incita insistentemente a riprendere la lettura perché - e che diamine! - ti piace. Bene, era esattamente quello che provavo e più crescevano le pagine più mi sentivo euforico, di quella sana euforia che devi confidare a qualcuno, ma che - come dannatamente e puntualmente accade quando ti serve -, fatichi a trovare. Non c'era uno straccio di collega o amico che si stesse dedicando alla lettura in quel periodo, tranne mio fratello Max; che, però, se la spassa beatamente a qualche chilometro di distanza: tra i colori di Minorca (argh!), da 6 anni. Da quel momento, avendo anche trovato un compagno di letture, l'entusiasmo è sempre cresciuto catapultandomi in ore e ore di recensioni, Forum, librerie, ordini on-line (ah, che ottimo cliente sono diventato per loro), pacchi postali consegnati a casa con il rito dell'apertura selvaggia e lo stupore delle copertine, scambi d'opinioni e meravigliosi profumi di carta. Annusare un libro nuovo è una festa per la fantasia.
Non sono a lodare il libro, ma la strepitosa capacità di lasciarsi rapire e conquistare, senza freni inibitori e con la necessaria audacia di chi molla tutto per esplorare nuove luci, senza nessuna traccia di autocompiacimento, ma solo con una gran sete di orizzonti diversi. Dottor Books e Mr.Ax: in questa mia trasformazione, dove ritrovai - f i n a l m e n t e - il sense of wonder, non contò tanto il libro citato, comuque piacevole, quanto l'attimo esatto in cui l'immaginazione venne agganciata dal vortice delle parole scritte e trascinata beatamente (e beotamente) in una sorta di carreggiata autostradale percorsa da personaggi, trame, sentimenti, battaglie, amori, sensazioni, divertimento, fantasie, e tante, tantissime storie. E lì in mezzo senza stop, limitatori di velocità, caselli e autovelox, venni trapassato da ognuno di essi senza dover tentare di schivarli, anzi dandomi da fare per cercare di spostarmi velocemente col desiderio di essere preso in pieno. Un bagno di sangue! Un bagno, però, dove il sangue era alimentato dalla forza delle pagine e per il quale non avevo bisogno di soccorsi. L'incidente più incisivo della mia vita di lettore; un incidente che ha lasciato - con la speranza che continui a farlo - traumi e cicatrici su tutta l'immaginazione, ben visibili e con il preciso scopo di ricordarmi ciò che è in grado di scuotere le mie fondamenta così prepotentemente da farmi dubitare di esistere e di poter essere, a mia volta, un personaggio di qualche racconto. Magari scritto da un me stesso che non conosco ancora.
Se vi dovesse capitare di restare fermi in autostrada, fatemi un fischio. Arriverò con un autoarticolato carico di libri e felice di soccorrervi. Tranquilli, non mi azzardo ad investirvi. Per il momento.
Dalla lettura allo scrivere, anzi, al divertimento di scrivere, il passo è stato completamente... spontaneo; volevo usare la parola indolore, ma ci ho ripensato poiché così non è stato. Un dolore spiattellato in faccia con crudezza - dal sottoscritto - che si è rivelato con le fattezze di un'amara verità: non ho mai scritto prima, e si vede! Eccome se si vede! Zoppico con la grammatica, la punteggiatura, sostantivi, verbi e avverbi, sinonimi e contrati e tutto quanto serve a trasformare i pensieri dalla tavolozza alla tela per dipingere un bel quadro, o almeno passabile. Certo, riesco a farmi capire, ma ad un attento esame il castello viene giù con un soffio, foss'anche solo un sospiro. Un castello - questo - le cui pareti, segrete, cortili e giardini hanno, sì un disegno, una forma (contorta!), ma senza una certa grazia in grado di catturare l'occhio. Per ora! L'unica certezza è che lo faccio per le semplici motivazioni che ho scritto all'inizio, non certo per insegnare nulla a qualcuno o affabulare chicchessia; con l'umiltà a guidami e con la speranza di migliorare nel tempo come i buoni vini, e non diventare aceto. Si migliora anche in modo creativamente passivo, se mi si passa il concetto, e cioè leggendo: ah, quanto ho imparato da quando ne ho preso coscienza! (a mio avviso, la coscienza è una delle chiavi. Forse, l'unica vera miccia che può farti saltare le chiappe) Ha risvegliato l'interesse per un arte che va fatta propria, che deve diventare amica, una compagna per tutte le stagioni: la lettura! E alla scintilla che si fa strada lentamente in ogni sentiero della fantasia, pronta a riaccendere l'interesse per il tutto; non mi riferisco all'ultimo best seller (non me ne voglia) in testa alle classifiche da leggere assolutamente (caro, ma come... non l'hai ancora letto?) altrimenti sei out. Non so voi, ma personalmente non lascio gestire le mie scelte a chi deve vendere, ma alla mia sensibilità e capacità di poter decidere sempre e comunque.
E alla fine atterro qui, dentro un blog che fatico ancora a capire a cosa serva e come si usi e con quale criteri, ma che sto cominciando ad apprezzare profondamente come fosse pollo arrosto con contorno di patate al forno, una prelibatezza per il mio palato: questo è diventato il mio primissimo esperimento, tra paure (soprattutto incoscienza) e grandi speranze, e voi ne siete  testimoni e cavie. E dai, da qualcosa debbo pure partire, no? Non rinfacciatemelo!
Ah, dimenticavo: dopo il primo libro, ne sono seguiti altri, e molti ancora sono in attesa di essere respirati.

Get on top, really let me groove baby with uh just a little bit of Spanish Castle Magic.(J.Hendrix)
Un altro modo di affrontare la paura. Un abbraccio al 'Tapito'.